Asse Roma-Berlino-Titograd

30 ottobre 2009

I vicini balcanici sono tornati. Vispi e catarrosi come se le società finanziarie non fossero niente più che un risibile spauracchio di halloween.

Ma prima un passo indietro. Mentre ero via da Berlino, un DHL è venuto a portare un pacco contenente alcune copie di una traduzione. Una traduzione già pubblicata, a quanto pare, da una casa editrice romana che però non me l’ha ancora pagata. E che tuttavia mi ha sommerso di copie d’obbligo.

In genere te ne mandano tre o quattro. Loro me ne hanno mandato uno scatolone con dentro una quarantina di esemplari. Spero che non credano di aver risolto in questo modo il problemino del mio pagamento. Ma non penso, perché tre giorni fa ho aperto la porta a un altro DHL che mi ha consegnato una busta contenente altre quattro copie d’obbligo. (E così fanno quarantaquattro libri in tutto. Sono pazzi. Cosa me ne faccio di quarantaquattro copie di un libro che ho già letto tre volte: una prima di tradurlo, una mentre lo traducevo e un’ultima prima di consegnarlo? Secondo loro ho ancora voglia di rileggerlo? Di rileggerlo altre quarantaquattro volte? Secondo loro ho quarantaquattro amici a cui sbolognarle? Quarantaquattro tavolini claudicanti? Quarantaquattro buchi del… ma bando alle fantasie erotiche: non era di questo che volevo parlare).

Evidentemente, ho ragionato, il primo invio, quello più copioso, quello nello scatolone, dev’essere stato un qualche disguido romano. E il secondo invio, la busta con le più ragionevoli quattro copie, era quello effettivamente destinato a me. Peggio per loro. Sta di fatto che lo scatolone, come forse si è già capito, è arrivato che non ero a Berlino. Quindi il corriere lo ha affidato al primo vicino disponibile, ed è qui che entrano in scena i balcanici. Questi si sono tenuti il pacco in casa per qualche giorno e poi, quando hanno notato sul pianerottolo un viavai di ospiti ignoti che entravano e uscivano di casa mia, l’hanno consegnato a loro, che l’hanno posato sul tavolo di cucina.

Questa storia degli ospiti ignoti adesso ci porterebbe troppo lontano e non è nemmeno particolarmente interessante. Diciamo che era gente che non conosco, di un età vergognosamente bassa, che ha vissuto qualche giorno a casa mia facendo cose inusitate quali dimenticare il frigorifero acceso a raffreddare il nulla per le tre settimane successive, e anche cose più perverse quali spalmare germi fecali sul mio spazzolino da denti, come facevano certi miei compagni di scuola alle feste di quando avevo l’età che hanno ora gli ospiti ignoti; ma di ciò non ho prova e quindi forse adesso ho buttato via uno spazzolino seminuovo per niente. E lasciando per tutto ringraziamento – parlo sempre degli ospiti ignoti – una scatola di mon chéri da 157 grammi destinata a rimanere intonsa fino al raggiungimento della data di scadenza: 12.03.2010 – neanche tantissimo. Per poi finire dritta nell’indifferenziata. Mon chéri. E ho detto tutto.

Sta di fatto che quando qualche giorno fa sono rientrato a Berlino ho trovato: un biglietto della DHL nella casella delle lettere, in cui mi avvertivano di aver consegnato un pacco per me ai balcanici e, sul tavolo di cucina, lo scatolone con dentro le quaranta pleonastiche copie d’obbligo della casa editrice romana insolvente. Perciò ho fatto sei per sette quarantadue più due quarantaquattro e ho capito cos’era successo.

Siccome è la seconda volta che i balcanici si fanno carico di prendere in consegna un pacco per me, e siccome sono un vicino squisito (e siccome verosimilmente ci saranno anche una terza e una quarta volta), non appena mi sono ritrovato a girare per i reparti della REWE ho comprato una scatola di cioccolatini (250 grammi, coperchio con foto di gattini d’angora che si uniscono compatti coi baffi allineati e le code attorcigliate su panno blu, euro 5,99): per ringraziarli. Così ieri sera ho suonato al campanello su cui è appiccicato un cognome balcanico e mi ha aperto la giovane badante con la maniche rimboccate fin sopra i gomiti e le mani raccolte in mano, gocciolanti.

Saluto, mi presento, allungo incerto la destra e poi subito la ritraggo mostrando in un festival di sopracciglia inarcate – mie e sue; devono essere come gli sbadigli, queste sopracciglia inarcate, penso: contagiose – di aver notato che lei ha le mani bagnate di chissà che e quindi insomma potevamo soprassedere sulla stretta. Attacco il discorsetto che mi ero preparato prima di uscire dal mio appartamento – la mano ancora posata sulla maniglia e la fronte appoggiata allo stipite – e spiego di sapere che nei giorni scorsi un corriere era passato da loro con un pacco, e che del resto già in passato era successo che loro avessero trattenuto una busta per me, e man mano che procedo nel mio riassunto delle puntate precedenti mi rendo conto che l’attenzione della ragazza è tutta sulla mia bocca, come cercasse di decrittare il messaggio inviato da quelle insospettate marconiste delle mie labbra, impegnate a coprirmi e scoprirmi gli incisivi al ritmo di un imperscrutabile alfabeto morse.

— Lei mi capisce, sì?

— Kapisch sì.

— Lo parla un po’ di tedesco, no?

— Un po’ no.

Ah, ecco. Ricomincio a blaterare poco convinto di DHL e consegne, ma ormai è chiaro che la sto solo tediando. Così decido di intrattenerla con il gioco dei mimi. Traccio nello spazio sospeso sopra lo zerbino balcanico uno scatolone immaginario, e chiedo.

— Karton, ja?

Mi poso una mano sul petto.

— Für mich?

Indico dentro l’appartamento balcanico.

— Bei Ihnen?

La ragazza avvampa e inizia a dire cose incomprensibili, visibilmente in preda al panico. Capisco che teme la stia accusando di non avermi consegnato il pacco.

— Nein nein, schon klar: ich meine Sie hatten mal einmal – ich meine sogar: mal zweimal – ein Karton für mich

Faccio ruotare la mano indietro al di sopra della spalla, in un gesto che un italiano interpreterebbe come “acqua passata”, ma sebbene io non abbia lì Desmond Morris a cui chiedere lumi, direi che il gesto non dev’essere di immediata comprensione per una balcanica: mentre mi osserva roteare la mano a fianco della testa noto il corrugarsi della sua fronte. Forse pensa che io stia insinuando che le manca qualche rotella, o – più letteralmente – che sia venuto a dare aria alle mie orecchie sul suo zerbino.

Abbasso la mano e mi rifugio in un più cattolico – nel senso di universalistico ma forse anche non solo – sorriso. Lei mi guarda muta. Allungo la scatola di cioccolatini kitch. E affastello lì bulimicamente tutte le formule di ringraziamento che mi vengono in mente, sperando che ne riconosca almeno una.

— Danke. Danke Schön. Vielen dank. Ja, danke mehrmals. Ich wollte mich eben nur bedanken, bloss mit einer Kleinigkeit sozusagen revanchieren, denn Sie waren so freundlich, das Päkchen für mich aufzu

Ma capisco che è di nuovo troppo. Sorrido, consegno i gattini melensi, alzo la mano in segno di saluto e giro i tacchi. La ragazza rimane interdetta sulla soglia, con le maniche rimboccate e i cioccolatini nelle mani non più gocciolanti. Quando mi richiudo la porta alle spalle vengo fulminato dal dubbio che possa pensare che il mio era il dono romantico di un ammiratore, e la possibilità di un fraintendimento così allarmante mi leva il respiro giusto il tempo necessario a rassicurarmi: almeno la faccenda dello scatolone doveva averla capita, e sei per sette più due saprà farlo anche lei.

A quel punto sento un gran vociare dietro la parete del mio bagno, che è attigua al gabinetto dei balcanici. È la vecchia che chiama. La ragazza la raggiunge e le parla con il tono di chi rende conto di qualcosa. Si distingue un gran sciaguattare, lo stridore greve e subacqueo di un corpo pingue di vecchia che sfrega contro le pareti di una vasca da bagno. Uno scricchiolio di iceberg contro le fiancate del Titanic. Un gemito di leviatano che digerisce un veliero di pirati nell’anfratto di una faglia oceanica. Altre urla di vecchia, proteste di giovane e poi, raggelante, lo schiocco umido e ripetuto di una rapida successione di schiaffi.

9 Risposte to “Asse Roma-Berlino-Titograd”

  1. LS Says:

    44 copie di spettanza, wow! :-D Quando passi per l’Italia puoi fare il munifico benefattore di biblio, per esempio. O lanciare un bookcrossing selvaggio con le tue traduzioni. O sbolognarne al Libraccio. O fare un salto a Roma e tirarle in testa ai contabili della casa editrice.

  2. Der Pilger Says:

    io avrei una domanda, ma quelli che sanno usare “eben” e “bloss” mi mettono una soggezione pazzesca.
    vabbe’ la faccio lo stesso: si puo’ sapere qualcosa di piu’ degli ignoti ospiti? sono peggio degli ignoti ospiti che prendono possesso della casa per l’Oktoberfest? quelli che ti danno l’impressione di aver vomitato nella scarpiera, o quelli che ti lasciano intendere che da ubriachi stramarci hanno trovato geniale l’idea di lavare lo scopetto del cesso nella lavastoviglie.
    al limite si puo’ fare uno scambio di ignoti ospiti che quelli berlinesi mi sembrano meglio. Almeno lasciano i monsceri’ che si possono regalare a qualche femmina.

    • das kleine k Says:

      Niente soggezioni: molto probabilmente eben e bloss li ho usati a sproposito.
      Gli ignoti ospiti sono semplicemente ospiti ignoti. Il figlio teenager del capo del mio coinquilino (un coinquilino ideale, un amico italiano che paga la pigione dodici mesi ma dorme nella casa non più di una dozzina di notti l’anno) insieme a un numero imprecisato di amichetti/amichette, che hanno soggiornato lì mentre non c’eravamo né io né, va da sé, il coinquilino che non c’è mai.
      E per fortuna che non ho una lavastoviglie, atrimenti adesso sarei in paranoia.

  3. suibhne Says:

    intanto mandami una copia, no?

  4. suibhne Says:

    e poi dicono che sono i genovesi a essere tirchi, tze…

  5. lasté Says:

    oh!mio!dio! kartch, che cosa hai fatto?? ora la povera balcanica sarà stata crocifissa per colpa dei tuoi cioccolatini melensi!!!
    i mon cheri tienili da parte che mi sacrifico io :D

  6. Elisa Says:

    Ciao Kartch,
    ci sei sabato al No B Day a Brandenburger Tor?


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